A tavola con le parole della cucina: il Settecento

A tavola con le parole della cucina: il Settecento

  • Postato: Mar 16, 2020
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Il Settecento segna un punto di svolta nella cucina medievale. La rivoluzione arriva dalla Francia e porta con se sapori più naturali. Per l’italiano della cucina però sono tempi difficili: nelle pagine dei ricettari trionfa il francese.

“La zuppa di cavolo deve sapere di cavolo, il porro di porro, la rapa di rapa”. In questo tweet di Nicolas de Bonnefons, valletto di Stanza di Re Luigi XIV, è racchiusa tutta la rivoluzione gastronomica del XVII secolo.  Semplicità, naturalezza e separazione dei sapori. Su questi tre ingredienti si basano le nuove stories del menù culinario, scritto a Parigi e dintorni.

L’Illuminismo arriva anche a tavola, finalmente si bada più al gusto che alla sensazionalità dei piatti. Gli chef italiani si adeguano, sistemando il loro profilo. Salutano salse acidespezie per fare amicizia con quelle grasse (su tutte la maionese) e con erbe dagli aromi più delicati. Intanto dicono stop agli impasti medievali: da adesso in poi a ogni gusto, dolce, salato, agro e piccante, corrisponderà una portata ben definita.

Che la rivoluzione francese abbia inizio!

La nouvelle cousine fa da influencer

Arriviamo a noi e alle nostre questioni linguistiche. Se la cucina italiana fa un passo decisamente in avanti in termini di gusto e sapore, lo stesso non si può dire per le sue parole. Sono tempi duri infatti per l’italiano gastronomico: il lessico della nouvelle cousine invade i ricettari del secondo Settecento e dell’Ottocento. Asterix e Obelix hanno più follower di Cesare e compagni. L’opera che testimonia appieno questa massiccia influenza della lingua francese è il Cuoco piemontese perfezionato a Parigi, scritto a Torino nel 1766. L’autore è un misterioso chef di origine sabaude, che dalla Francia fa ritorno nella penisola italiana, con un ricco bagaglio di pietanze nuove e di termini d’oltralpe.

 

Nelle ricette e nelle indicazioni di servizio, infatti, dilagano voci come escalope ‘fetta di carne sottile’, fricandeau ‘noce di vitello in casseruola, lardellata e aromatizzata con erbe’, bechamel ‘besciamella’, court-bouillon ‘brodo di corte’, hors d’ouvre ‘antipasto’, entrèes ‘prima portata’, assiette ‘piatto di biscotti e frutta secca per fine pasto’. Suona la marsigliese anche il settore della pasticceria. Questo il poker di dolci: souflets, mignones, meringues e gateau.

Non mancano errori grossolani e trascrizioni malconce. Cresson alènois, parola con cui si indica una specie di crescione che prende il nome dalla città di Orlèans, diventa crescione alla noce. Mentre con il termine carbonata a costa di bue in papiglilote si intende ‘al cartoccio’. Mah. Nel lessico della cucina regna un po’di confusione.

Che pasticcio con l’italiano

Queste voci passano da un ricettario all’altro e danno vita a dei pasticci linguistici di proporzioni bibliche. Ne è un esempio perfetto l’Apicio moderno, a firma di Francesco Leonardi. Un cuoco pluristellato di origine romana che gira in lungo e largo per tutta l’Europa. E’ il Giorgio Locatelli del Settecento, per intenderci.

Prima si forma a Parigi, nella cucina del Maresciallo di Richelieu, poi lavora a Napoli per il principe di Francavilla, infine diventa il cuoco dell’imperatrice Caterina di Russia. Tutta questa immensa esperienza internazionale la mette servizio della sua opera letteraria, pubblicata nel 1790 in ben sei tomi, contenenti la bellezza di 3000 ricette.

Partiamo dal suo principio linguistico guida:

Rapporto però a nomi de’ Piatti, Zuppe, Salse, o latro si rende impossibile di cambiarli, dovendosegli dare quello che portano seco dalla loro origine sia Italiano, Francese, o d’altra nazione. Lo stesso ho creduto di fare dell’ortografia Francese, servendomi soltanto dei nomi.

Cosa significa? Che alla norma ortografica preferisce una trascrizione fonetica più fedele possibile all’italiano. La grammatica piange. Leonardi è un grande chef ma come professore d’italiano lascia parecchio a desiderare. Gattò, fondù, torta alla sciantiglì, escaloppe alla Barrì, alla Riscelieù, alla Montespà. Ce n’è per tutti i gusti.

Nelle pagine dell’Apicio Moderno prende forma quindi un gergo maccheronico difficile da digerire, così l’autore si trova costretto a inserire, in corso d’opera, nel Primo e nel Sesto Tomo una spiegazione dei termini francesi utilizzati per venire in soccorso dell’autore.

Ecco qualche esempio che citiamo direttamente dalle sue pagine. Liason  sta per ‘rossi d’uova stemperate con acqua, o brodo, o latte’. Aspic, significa ‘brodo chiarificato’. Mentre chi voleva ordinare una ‘braciola’ doveva chiedere di  una cotelette.

Ma tranquilli la situazione sta per cambiare, all’orizzonte si intravede Pellegrino Artusi. Il Manzoni della lingua gastronomica.

“Qui s’ha da fare l’italiano della cucina”. Fatto per bene però.