A tavola con le parole della cucina: Pellegrino Artusi

A tavola con le parole della cucina: Pellegrino Artusi

  • Postato: Mar 25, 2020
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Dopo i pasticci linguistici del Settecento e Ottocento, Pellegrino Artusi sistema la lingua della gastronomia e la dispensa degli italiani. 

In teoria non è stato né un cuoco e neanche un letterato di professione. Nei fatti però il cuore e la passione di queste due figure convivono in completa armonia nelle sue ricette. Aggiungiamoci anche che lo contraddistingueva un certo carattere bizzarro e simpatico. No, non stiamo parlando di Antonino Canavacciuolo. Niente Cucine da incubo, niente schiaffoni improvvisi. Oggi vi presentiamo Pellegrino Artusi.

Romagnolo di nascita ma fiorentino di adozione, dopo aver trascorso una vita agiata come droghiere, nel 1981 dà vita a una impresa letteraria dal sapore straordinario. Con una sola forchettata “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie” riesce a metter in ordine la dispensa e la lingua gastronomica italiana.

Ma non perdiamoci nelle presentazioni, oggi la carne al fuoco è davvero tanta.

Tutti insieme appassionatamente

Unire gli italiani a tavola. Nella sua elegante abitazione al centro di Firenze, in compagnia dei suoi due gatti, il gastronomo gentiluomo riscrive, sulla base di questo imperativo, il menù della penisola. Zero stravolgimenti e piatti flambè. La sua è una cucina semplice, economica, e alla portata di tutti.

Attorno alle vivande principali della tradizione romagnola-bolognese e di quella toscana-fiorentina, serve pietanze tipiche del Nord, del Sud (fino a Napoli) e dell’Italia centrale. Ma attenzione, non si limita a scopiazzare da altri ricettari, va ben oltre. L’acqua delle sue pentole è sempre in ebollizione perché prova e riprova i piatti grazie all’aiuto dei suoi due domestici, il cuoco originario di Forlimpopoli (città natale dell’Artusi), Francesco Ruffili, e la governante, Maria Sabatini.

In questa rivoluzione di forchette e pentole partecipa anche il pubblico. Si perché Artusi, cucchiaio dopo cucchiaio, modella un progetto editoriale senza precedenti. La sua opera, dopo la prima edizione, si arricchisce dei suggerimenti e delle ricette di tantissimi italiani. Per sedersi metaforicamente alla sua tavola, basta scrivere una lettere e spedirla a Piazza D’Azeglio, 25. La casella postale è stracolma. “Essere social prima dei social network”, che prelibatezza.


«L’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia […] Era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una». (da un’intervista di Maria Sabatini del 1936 su “La Cucina Italiana”)

Seguendo questo principio, “La Scienza” diventa presto un best seller che entra nelle case della maggior parte degli italiani. Ancora oggi escono nuove edizioni, contenenti la bellezza di 790 ricette, tra antipasti, brodi, primi e secondi e tanto altro. La leggenda narra che le ricette dell’Artusi vengono sempre bene. Mamme e papa alle prese con i fornelli ringraziano. Di cuore.

Di lessico

In bella vista, al fianco di due classici che hanno contribuito, dopo l’Unità d’Italia, a delineare l’italiano scritto e parlato. Ecco la location de “La Scienza”, tra il Pinnochio di Carlo Collodi e le storie del libro Cuore di Edmondo De Amicis. Il privilegio è tutto meritato perché grazie all’Artusi lievita non solo la cucina ma anche la lingua gastronomica italiana. Per ottenere questo effetto saluta senza troppi convenevoli  gli impasti francesizzanti della letteratura gastronomica precedente. Au revoir. Dire pane al pane, vino al vino. Sentiamo direttamente la sua voce.


«Certi cuochi, per darsi aria, strapazzano il frasario dei nostri poco benevoli vicini con nomi che rimbombano e non dicono nulla, quindi, secondo loro questa che sto descrivend,a vrei dovuto chiamarla zuppa mitonnée […] Ma io per dignità di noi stessi, sforzandomi a tutto potere di usare la nostra bella ed armoniosa lingua paesana, mi è piaciuto di chiamarla col suo nome semplice e naturale (ricetta 38, Zuppa su sugo di carne)»

Difendere l’italiano dall’assalto francese e pensare all’unità della lingua italiana, non sono operazioni frutto del caso; Artusi nella sua biblioteca personale ha passato anni ed anni a studiare la letteratura italiana, con la lente d’ingrandimento posata su una miriade di opere di lingua e dizionari. Tre i verbi al centro del suo principio linguistico di stampo manzoniano: razionalizzare, semplificare e uniformare.

Per raccontare le sue ricette si basa sulla lingua di Firenze, adottata nella vitalità della tradizione parlata e nella ricchezza di quella scritta. Anche in fatto di lingua insomma, il suo è un palato sopraffino.

Il bagaglio lessicale è per tutti i gusti. Troviamo parole dell’uso corrente come: l’aggettivo adagino adagino che indica il ‘bollire della pentola’; campare ‘vivere’; garbare ‘piacere’; stuccare ‘nauseare’. Tecnicismi culinari, che oggi sentiamo in ogni cucina: mettere al fuoco, rosolare, cuocere a bagno maria, fare un soffritto, prendere colore, legare, ridurre, mandare in tavola, pestare, spolverizzare, fare un battutto. Non mancano parole dialettalicoteghino, risi e luganighe ‘riso in brodo con la sasiccia’ e tridura ‘un tipo di minestra’.

Riguardo i termini stranieri li rende più vicini possibili al dolby surround italiano: bordò, glassa, gruiera ‘formaggio a groviera’, regime ‘dieta’. Altri invece sono consacrati nella loro forma originaria: babà, brioches, plum-cake, rhum, sandwichs, dessert, cognac, pureè, Strudel. Peccato per la sua creazione lessicale sgonfiotto, utilizzata per i soufflet. Non supera l’esame del tempo. Sarebbe stato un dolce ancora più eccezionale.

Di sintassi

Se con il lessico Artusi realizza un piatto straordinario, con la sintassi si supera. Impartisce ricette, precetti di igiene e di economia domestica, dosandoli con una serie sconfinata di racconti e aneddoti personali. Due su tutti: il giudizio del severissimo professore Trevisan che agli albori della sua opera ne predice il fallimento (non un grande scommettitore!) e l’aneddoto dei suoi due compaesani che, non sapendo cosa farne, vendono al tabaccaio due copie del libro, appena vinte con la lotteria.

In questa prosa si inserisce un tono di voce colloquiale e cordiale, che intuiamo già dalla prima ricetta del manuale:


“Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai”.

Questa capacità narrativa si riflette anche in una ricca serie di modi di dire proverbiali. Parlando delle polpette racconta che “questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco”. Sulla frittata non ha dubbi “e chi è nel mondo che in vita sua non abbia fatta una qualche frittata?. Qualche dubbio invece sulla voglia di studiare dei nobili romagnoli: “avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su’ libri, i signori di Romagna non ne vogliono saper bucciata”.

Forse è proprio questo il segreto del suo successo. Insegnare a cucinare, intrattenendo. Intrattenere, insegnando a cucinare. Una cosa però è certa: Pellegrino Artusi, né cuoco e neanche letterato di professione, ha scritto “adagino adagino” il romanzo della cucina italiana. Senza neanche tirare uno schiaffone!

 

Fonti: Frosini G., L’italiano in tavola, in Lingua e identità. Una storia sociale dell’italiano, a cura di Trifone P., Carocci, Roma, 2009, pp.60-63.
Lubello S., La lingua della gastronomia, www.treccani.it, 2010.
www.pellegrinoartusi.it