Tra termini stranieri e dialettali l’italiano della cucina custodisce un sapore unico. Scopriamo il suo lessico. Prima tappa: Medioevo e Rinascimento.
All’angolo tra le tavolate domenicali, le sfide televisive di Masterchef e le pagine dei ricettari che promettono piatti da sogno, c’è una lingua che mette d’accordo e di buonumore proprio tutti. È l’italiano della cucina. Sul piatto una bella fetta di termini stranieri che fanno tanto brunch o nouvelle cosuine, con accanto una doppia porzione di parole prese in prestito dal dialetto, che ci fanno sempre sentire a casa.
La redazione de “Il cibo che serve” ha deciso addentrarsi in questa lingua dal sapore unico, capace di veicolare tradizione e innovazione, identità e scambio con il mondo. Prendiamo la rincorsa e iniziamo il nostro viaggio. Si bussa alle porte del Medioevo e del Rinascimento.
Buon appetito, pardon…buona lettura.
Medioevo, tra ricettari e liste della spesa
Prima curiosità: nel Medioevo l’italiano della cucina suona note marsigliese. A testimoniarlo è il ricettario conservato nel Codice 1071 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, il capostipite dei manuali di cucina contemporanei. Nonostante sia scritto in fiorentino, il debito lessicale con i cugini d’oltralpe è di qualche zero.
Qui campeggia il famoso blasmangiere cioè ‘biancomangiare’. Dalla Spagna fino alla penisola italiana, passando per la Germania o più precisamente l’Alemannia, è il piatto forte di tutti i “menu” medievali. Si preparava con carne di pollame, farina di riso, brodo o latte. Oggi invece il termine designa un dolce, fatto con mandorle e latte. Continuando ad addentrarci tra le antiche carte, troviamo altri termini di derivazione francese, come cialdello preparazione per carne o pesce’, brodetto ‘intingolo’, e morsello ‘boccone’.
Per quanto riguarda il testo, lo schema è preciso. Tutte le ricette si aprono con una frase ipotetica Se vuoli fare…accompagnata dal nome del piatto. A questa formula fa seguito una ricca serie di imperativi togli…e metti…stempera…mestalo…che indicano le diversi fasi della preparazione. Guai a sbagliarsi.
Restiamo a Firenze ma spostiamoci nella Biblioteca Medicea Laurenziana. Qui c’è la più antica lista da spesa, stilata per la mensa dei Priori di Firenze. Una fonte interessantissima che restituisce il lessico del mercato fiorentino degli anni quaranta del XIV secolo, e che ci racconta tanto sui gusti dei commensali. Sentite un po’ di cosa andavano matti: pappardelle, cacio parmigiano o parmigiano, cialda (e cialdone), mostarda (dal francese moustarde), e i vermicelli, lessicalmente parlando gli antentati dei spaghetti. Dulcis in fundo, il pane impepato, già promesso sposo del Natale. Vi suona familiare?
Nelle corti rinascimentali
Squillino le trombe. Con il Rinascimento la cucina diventa un’arte raffinata. Si deve soddisfare il palato dei Signori che banchettano a corte. L’impresa è ardua. Affidiamoci alle ricette del ferrarese Cristoforo Messi Sbugo. Funzionario della corte Estense ma soprattutto il cuoco per eccellenza del Rinascimento.
Nel 1549 da vita all’opera gastronomica “Banchetti, compositione di vivande et apparecchio generale”. Un trattato che illustra nel dettaglio tutti i passaggi per allestire un banchetto signorile, e che tra le sue preziose pagine contiene la bellezza di 350 ricette. Tutte d’alta cucina o meglio da 5 stelle Michelin.
Gli ingredienti lessicali? A una base di latino, aggiunge l’immancabile strato toscano, e una spolverata di termini dialettali, provenienti specialmente dall’area settentrionale. Ecco servito il modulo di riferimento per tutta la letteratura culinaria rinascimentale.
Una pagina del trattato “I Banchetti, compositione di vivande et apparecchio generale” di Cristoforo Messi Sburgo (Ferrara 1549). Fonte https://archive.org/details/
Leggendo il testo, c’è da stropicciarsi gli occhi. Rispondono all’appello numerose strutture sintattiche che sono resistite fino ad oggi. Lo schema alla + aggettivo: salsa alla genovese, maccheroni alla napoletana, riso alla turchesa, lombi di bue alla alemanna, tortelli alla lombarda, uova alla francese. Il suffisso -ata spopola: perata ‘conserva di pere’, agliata ‘salsa d’aglio’, cotognata ‘marmellata solida ottenuta dalla polpa delle mele cotogne’.
Ricca la portata dei diminutivi: frittele, pastatelle, stellette, tortelletti, tartarette, cervelletti. Intanto appaiono per la prima volta le crescentine ‘sfogliatine dolci’, la sfogliata (d’olio, di mandorle) ‘pasta sottile riavvolta’, il torrone, e…rullo di tamburi gli truffoli, oggi meglio noti come ‘struffoli’, dolce tipico delle nonne meridionali.
Chissà se a tavola gli Estensi erano soliti chiedere il bis?
Alla prossima puntata.
Fonti:
Frosini G., L’italiano in tavola, in Lingua e identità. Una storia sociale dell’italiano, a cura di Trifone P., Carocci, Roma, 2009, pp.60-63.
Lubello S., La lingua della gastronomia, www.treccani.it, 2010.