Con Il cibo che serve e il CAR recuperati 500 kg di cocomeri
“A causa di un’etichettatura fatta male e non conforme alle norme vigenti, stavano per andare sprecati oltre 500 kg di cocomeri. Grazie alla collaborazione con Centro Agroalimentare di Roma, che ci ha segnalato il problema e dei Carabinieri presenti che hanno assicurato la legalità dell’operazione, siamo riusciti a recuperare tutta la partita di cocomeri che altrimenti sarebbe finiti nella spazzatura, redistribuendola alla rete solidale di Roma grazie al nostro progetto ‘II cibo che serve‘ “. È quanto dichiara, in una nota, Lidia Borzì, presidente delle ACLI di Roma e provincia.
“Questa operazione – afferma il Direttore Generale di Car, Fabio Massimo Pallottini – fa parte di una serie di attività che stiamo realizzando insieme alle Acli di Roma, grazie alla firma di un importante protocollo di collaborazione di cui siamo orgogliosi. Siamo contenti, infatti, di poter contribuire fattivamente alle iniziative di contrasto allo spreco che le ACLI di Roma stanno realizzando nel territorio perché rappresentano un’occasione importante di impegno, per una realtà grande come la nostra, che ha la responsabilità e le possibilità per contribuire al bene della comunità”.
“Da anni le ACLI di Roma – conclude la Borzì – sono impegnate nel recupero di prodotti alimentari non più adatti alla vendita ma che sono ancora buoni da mangiare, a partire dal pane con ‘Il pane A Chi Serve 2.0’ fino all’ampliamento a frutta, verdura e cibi freschi di prossima scadenza grazie al progetto ‘il cibo che serve’ finanziato dalla Regione Lazio. I cocomeri recuperati al CAR, con l’autorizzazione delle forze dell’ordine, sono stati divisi e donati ad alcune delle realtà solidali che fanno parte della rete del nostro progetto. In particolare 30 pezzi sono stati portati alla Caritas mentre altri 20 sono stati consegnati alla Parrocchia ‘Nostra Signora di Lourdes’, a Tor Marancia, e ulteriori all’Isola Solidale con la speranza che questo possa essere un dono gradito e gustoso per le tante persone fragili che vengono accolte e sfamate in queste strutture”.